Testi e fotografie di Riccardo Poma
Si dice che questa villa appartenesse a un pittore locale. Si dice che, quando il pittore morì, le sue opere rimasero per anni a prendere la polvere dentro le stanze, appese ai muri o semplicemente accatastate come bancali. Nel migliore dei casi, coperte da qualche telo polveroso.
Poi, qualcuno si accorse di loro.
E capì che potevano valere qualcosa, o se non altro abbellire qualche muro.
Nel giro di una decina di anni, quei meravigliosi quadri sparirono nel nulla, pian piano, sottratti da collezionisti, furbini, paesani del pittore. La domanda è sempre la stessa: per lasciarli lì a prender la polvere, e quindi l’umidità, e quindi la muffa, non è forse stato meglio così?
Oggi questa villa colpisce ancora per la sua imponenza, ma della grandezza di un tempo non è rimasto quasi più nulla.
Quasi. C’è ancora un bel bagno bluette, con tanto di carta igienica sul davanzale, in attesa che qualche artista (è pur sempre carta) la utilizzi. Il tetto dondola pericolosamente, e adesso sì che è davvero spiovente: talmente spiovente che, un giorno o l’altro, verrà giù proprio come la pioggia.
Le piante hanno disegnato assurdi affreschi, simili a quadri. Bè, giusto così. È la casa di un pittore.
Per terra una serie di barattoli che avranno almeno un sessantina di anni. Chissà cosa contenevano. Cibo? Colori?
Qualcuno ha smontato le ringhiere dei balconi, forse per dissuadere eventuali visitatori, o magari semplicemente perché stavano meglio a casa sua che lì sopra. Il problema è che tanto, se non ci porta dietro una scala, salire è diventato difficile. Lo scopriamo entrando in casa dalla porta sul retro, che vicino oltretutto ha un pozzo che – grazie alla prova scientifica della monetina – sarà profondo sui 30, 35 metri.
Scopriamo che questa villa, un tempo costruita su tre piani più cantina, è composta solo più di un piano: la nuda terra. Il tetto è caduto sul terzo piano, che è caduto sul secondo, che è caduto sul primo, che addirittura è caduto sulla cantina. E il pavimento della cantina ovviamente, è di nuda terra. Magari l’ordine di caduta non è stato per forza questo, ma che sia andata più o meno così è davanti agli occhi di tutti.
Dopo aver superato le iniziali vertigini (provate a entrare in una casa e trovarvi in uno stanzone altissimo), ci si può concentrare sui particolari. La prima cosa che salta agli occhi, a partire dal basso, è la vista sulla cantina: la caduta della splendida volta a botte ha rivelato ALMENO due botti da vino, ma di quelle grandi per davvero. Chissà se c’è del vino dentro, chissà a che annata appartiene?
Magari il pittore, quel vino, se lo faceva per lui con le sue vigne. Qui una volta era pieno di vigne, e non era difficile occuparsi di tutti i passaggi fino alla bottiglia.
Poi notiamo quelle rientranze nei muri che facevano da scaffali. Sopra ci sono ancora le bottiglie, i contenitori per il cibo. Le pareti sono colorate, ad indicare che non era proprio una casa “normale”. I contadini non avevano i muri dipinti, e se li avevano sicuramente erano tutti di un solo colore. Qui si distingue un blu, un rosa (rosso?), un azzurro, addirittura un ornamento floreale.
Ci accorgiamo che i crolli sono antichissimi: il muschio è cresciuto sui mattoni crollati prima, saldandoli a ciò che resta del pavimento. Ma ci accorgiamo anche che non sono mai finiti: gli ultimi mattoni sono “freschi”, così come le lamiere.
E poi fili sospesi, tegole sospese, mattoni sospesi, addirittura solette sospese.
E una sedia, capolavoro fotografico e concettuale, che pare messa lì con l’unico scopo di farsi fotografare. Un oggetto di tutti i giorni che oramai è nello spazio siderale, lontanissimo, irraggiungibile. Un oggetto comune diventato un’opera d’arte. In fin dei conti, siamo sempre a casa di un pittore. L’unica opera d’arte rimasta qua dentro, forse solo perché nessuno l’ha vista come tale.
E in effetti non lo è. L’arte è, in questo caso, nell’occhio di chi guarda, o di chi fotografa.
Solo da quaggiù ha un senso.
Anche lei è sospesa, come tutto qui dentro. Oggetti sospesi e irraggiungibili, come anche la storia di questo luogo, raccontata solo da qualche anziano del posto, ma oramai confusa, lontana, solo immaginabile. Sospesa e irraggiungibile.
Un giorno, c’è da scommetterci, anche questa sedia sospesa raggiungerà la terra della cantina. Polvere alla polvere, proprio come quel pittore, proprio come – un giorno – noi.
Torniamo all’aria aperta. Un vecchio fabbricato attiguo, che nasconde una bellissima e perfettamente conservata gerla, ci “sorride”. Comincia a piovere. Una grondaia divelta sembra un serpente, e l’acqua piovana, scorrendovi dentro e sibilando, conferma. Sul cancello, le iniziali del pittore. La firma della sua ultima opera d’arte.
Thanks to Franci e Lori
[Tutte le fotografie presenti in questo post sono tutelate dal diritto d’autore e, pertanto, non possono essere riprodotte altrove. Copyright Vuoti a perdere 2016]