THE SLEEP OF REASON PRODUCES NOSTALGICS

Testi e fotografie di Riccardo Poma

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IERI.

Era una settimana che ci pensavi.
Avevi definito il concetto. Ne avevi appurato la profondità. Avevi persino minuziosamente cercato le parole giuste per esprimerlo.
Eri andato a comprare una bella bomboletta. Rossa.
Rossa? Mah. Vabbè, facciamo finta che abbia un senso.
“Rosso come il sangve dei gloriosi italiani che combatterono in Etiopia!”.
Vabbè.
Comunque era tutto pronto: ti sentivi un vero trasgressivo, un disgregatore del sistema, un ribelle impenitente e orgoglioso. Impettito, forse.
Non ti restava che scegliere un luogo idoneo. Un luogo idoneo per un pensiero così profondo.
Per uno slogan così audace. Forse a scuola qualcuno ti aveva insegnato che lo slogan, per essere tale, dev’essere ben visibile, entrare nella mente di chi lo legge (o lo sente) e a sua volta lo ripete.
Avevi dunque un’infinità di opzioni.
Sul muro di una fabbrica? Di una casa?
No, doveva vederlo il maggior numero di persone: dovevi trasmettere a tutti quella profondità, dovevi scioccare con la tua trasgressione. Uomini, donne, bambini. Operai e avvocati, impiegati e politici. Tutti avrebbero tremato leggendo quello slogan, potente ed imperioso.
Il posto doveva essere simbolico, metaforico, allegorico. Tutti dovevano vedere la tua opera, tutti dovevano esserne affascinati. La tua missione era pensata per un’azione su scala mondiale.
E così, quel pomeriggio, hai preso l’auto, la tua bomboletta, il tuo coraggio e sei partito.
Partito per una missione storica. E in effetti, hai lasciato il segno.

DSC_0297OGGI.

Prendiamo l’auto, la macchina fotografica e ci dirigiamo nei boschi, in cerca di scorci suggestivi. Dopo qualche ora di vagabondaggio, arriviamo davanti ad una piccola costruzione, una casetta in mattoni grigi costruiti nei pressi di quella che, un tempo, era una piccola, tranquilla area picnic.
Lo dimostrano i resti di una tavolo con panche, anch’essi in cemento.
Inizio a scattare e noto il capolavoro.
Più del concetto, comunque per nulla condivisibile, a colpirmi è la genialità della trovata.
Mi spiego. Vuoi andare su un muro a scrivere la tua idea? Va bene. Ma scriverlo su un muro che viene visto da
a) gente che va a funghi (5/6 all’anno)
b) clienti con prostitute (3/4 all’anno)
c) avventori occasionali (2/3 all’anno)
per un totale di presenze 10/13
NON è la cosa più stupida che tu potessi fare?
Capisci che quel muro non è esattamente il posto più frequentato del biellese?
Perchè hai scritto il tuo fantastico concetto in un posto in cui non passa nessuno?
Dove sta il senso?
Mi sono stilato una lista di risposte plausibili:
a) L’hai fatto perché eri lì imboscato con la tua morosa e, a te che il sistema lo odi e lo sbeffeggi, il tipico intaglio del cuore con iniziali sull’albero non ti piaceva; dunque: VIVA IL DUCE, AMORE MIO!
b) Eri tu il proprietario della struttura e, quando organizzavi picnic coi tuoi amici, ti garbava l’idea che la tua frase di benvenuto “eia, eia, alalà!” fosse accompagnata da un post it murario sulle tue già chiare idee politiche.
c) Sei un tale paurosone che non hai avuto il coraggio di scrivere il tuo slogan in un posto visibile ma l’hai fatto comunque perché così potevi raccontare agli altri neocamerati di averlo scritto:
“Ragazzi, ho scritto VIVA IL DUCE su un mvro!”
“Bravo!!!”
(tra l’altro, come cavolo hai potuto scriverlo col ROSSO?!?????????)
Qualunque sia il motivo, comunque, complimenti.
Mi giro e vedo una sorta di pietra tombale nei pressi della costruzione, una specie di menhir moderno.

DSC_0298La guardo. Che strano, penso, non c’è scritto nulla.
Bè, una cosa, volendo, la si poteva scrivere:

“qui davanti giace l’incredibile stupidità umana”.

Monumento alla memoria. Sai che turismo?
Così magari qualcuno, finalmente, leggerà il tuo capolavoro. O no?

[Tutte le fotografie presenti in questo post sono tutelate dal diritto d’autore e, pertanto, non possono essere riprodotte altrove. Copyright Vuoti a perdere 2015]

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