Testi e fotografie di Riccardo Poma
Collegandoci al nostro primo, ormai lontano, affezionatissimo post, pubblichiamo il reportage realizzato su un’altra fornace in disuso. Siamo ancora nel biellese, stavolta in una piccola frazione. Arrivando nella località, sperduta tra le risaie, non è difficile accorgersi che le poche case sono costruite attorno alla ferrovia. C’è una piccola stazione in disuso, un gruppo di case (con tanto di ristorante), molti capannoni (alcuni ospitano allevamenti) e la gigantesca, scheletrica, suggestiva fornace. Non conosciamo la data di fondazione di questa grande stazione produttiva. Ciò che è certo è che lo stile dell’edificio situato vicino all’ingresso (una vera e propria villa, con particolari architettonici ricercati) fa pensare ad un tempo a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Sulla destra, un grande caseggiato su due piani. Sulla sinistra, un magnifico, imponente edificio che probabilmente ospitava l’unità centrale, il fulcro della produzione di mattoni. Diversamente da molti edifici che visitiamo di solito, qui la bonifica per eliminare l’eternit è stata fatta, e ciò che rimane è un’intelaiatura in ferro che ricorda quegli scheletri di dinosauri riassemblati che vediamo nei musei.
Il particolare che più colpisce è tuttavia l’imponente ciminiera, alta almeno trenta metri, visibile un po’ da qualsiasi posizione. Un tempo era addirittura più alta, ma si dice che durante un forte temporale, negli anni ’80, la sommità cadde sotto la forza del vento. Il posto è famoso anche per i cosiddetti alloggi ENI progettati nel dopoguerra e mai terminati e per il continuo via vai di cicogne, che amano costruire i propri nidi sui piloni “scalpati” della vecchia fabbrica.
L’età di abbandono non è documentata, ma l’impiegata del comune, che ringraziamo (purtroppo non siamo riusciti a scoprire il suo nome) ci ha detto:
“Io ho cinquant’anni, e da quando mi ricordo io è sempre stata abbandonata”.
Vicino alla fornace, è ancora presente la piccola stazione che un tempo portava comodamente gli operai sul luogo di lavoro.
Thanks to: Andre G.
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